La celiachia colpisce una persona su 100, ma non sempre per i pazienti è facile avere una diagnosi di questa patologia causata dall’intolleranza al glutine. Tra i segni che dovrebbero insospettire e spingere il medico a compiere analisi più approfondite ce ne sono alcuni che compaiono in bocca, come per esempio le macchie sui denti o le afte ricorrenti.
L’infiammazione sistemica causata dall’intolleranza al glutine, infatti, che può colpire qualsiasi organo ed avere differenti livelli di gravità, non sempre provoca soltanto sintomi gastrointestinali di malassorbimento, i più tipici e frequenti. Sovente si manifesta anche con un’infiammazione di tipo autoimmune delle mucose, anche della bocca.
Perché la celiachia colpisce i denti
Perché i processi infiammatori alterano i processi di produzione dei cristalli che compongono lo smalto dei denti, provocando macchie di colore biancastro che vanno a rovinare il sorriso. Si tratta di fenomeni che interessano un range piuttosto elevato di pazienti, dal 10% al 90%, più frequentemente i bambini, perché spesso la celiachia insorse allo spuntare dei primi denti permanenti.
Le afte, invece, l’altro segno di questa malattia ravvisabile in bocca, colpisce dal 16% al 41% dei celiachi e potrebbero dipendere dalla carenza di nutrienti a livello intestinale causata da una ridotta assunzione in particolare di ferro, folati e vitamina B12, ma anche da livelli infiammatori sistemici sopra la norma.
Cosa suggeriscono gli esperti
Per tutte queste ragioni, Giuseppe di Fabio, presidente dell’Associazione italiana Celiachia, suggerisce alle persone che lamentano stomatiti ricorrenti o danni allo smalto non causato da altre patologie già diagnosticate, di rivolgersi in prima battuta al proprio odontoiatra e poi, se necessario, al proprio medico per eventuali esami di approfondimento. Un altro esempio, dunque, di quanto sia importante prendersi cura della propria bocca non solo per ragioni estetiche, ma anche e soprattutto per mantenersi in salute e individuare tempestivamente i segni delle malattie che proprio in bocca hanno il loro esordio e che l’odontoiatra e l’igienista dentale possono aiutarci a scoprire.
Lo stress colpisce anche le gengive. Tra le persone che dicono di essere stressate, infatti, una su 4 ha problemi di infiammazione gengivale che alla lunga possono mettere a rischio la salute dei denti. A ricordarlo sono gli esperti della Società Italiana di Parodontologia e Implantologia (SIdP) che invitano a prendersi maggiormente cura dell’igiene orale nei periodi particolarmente stressanti, come quello che precede le vacanze estive, ma anche a non sottovalutare i legami tra lo stress e le cosiddette malattie sistemiche, cioè quelle che riguardano l’intero organismo.
Stress e malattie delle gengive, un legame dimostrato dalla scienza
Già a partire dagli anni ’90, diversi studi scientifici hanno messo in evidenza la correlazione tra stress e parodontite, l’infiammazione cronica delle gengive che se non trattata adeguatamente per tempo, può portare alla perdita de denti. Sebbene si tratti soltanto di studi osservazionali, basati dunque sull’osservazione clinica che da sola non può dimostrare l’esistenza di un rapporto di causa ed effetto, queste ricerche mettono in luce una significativa correlazione tra stress e parodontite.
Uno studio recente
Pubblicato sulla rivista scientifica “Clinical Oral Investigation” nel 2020 ad opera di un gruppo di ricercatori brasiliani ed americani, lo studio ha coinvolto 621 soggetti. Per ciascuno di essi ha stimato il livello di stress percepito e misurato i segni dei danni parodontali, come il sanguinamento delle gengive e il grado di aderenza della gengiva al dente. Il 48% del campione, cioè 301 persone, riferiva di essere stressato e tra loro mediamente il 24% presentava una qualche forma di parodontite, dalla più lieve a quella più grave, al netto dei parametri quali sesso, fumo e indice di massa corporea che già da soli giocano un ruolo significativo nella comparsa di questa patologia.
Perché lo stress può favorire la parodontite
Perché una situazione di stress può determinare il rilascio di ormoni (corticosteroidi e catecolamine) che inibiscono o riducono la produzione di linfociti, cioè le cellule responsabili delle risposte immunitarie. Ecco perché lo stress andrebbe combattutto, perché è un nemico del nostro sistema immunitario e può indebolire le difese dagli attacchi che provengono dall’esterno e mettere a rischio la salute e non solo della bocca.
Gli antibiotici sono meno efficaci di un tempo, anche quelli per la cura della parodontite grave. Lo ha rilevato uno studio presentato di recente ad Atlanta, in Georgia, al 51° meeting annuale dell'Associazione americana per la ricerca dentale, orale e craniofacciale. Lo studio ha esaminato, in tre diversi gruppi di pazienti, nell'arco di un ventennio, il batterio responsabile della forma più aggressiva di parodontite, scoprendo che gli antibiotici in uso per la cura di questa grave malattia, si sono progressivamente indeboliti, risultando meno efficaci di un tempo. l fenomeno, già noto in medicina, prende il nome di antibiotico-resistenza e sta preoccupando non poco medici e pazienti.
Come si sviluppa nell'organismo la resistenza agli antibiotici
Tutto dipende dalla presenza massiccia nel corpo umano di questi farmaci che negli ultimi anni evidentemente sono stati prescritti con troppa facilità e spesso assunti dai pazienti anche di propria iniziativa, senza una prescrizione medica. Questo ha permesso ai batteri di sviluppare delle strategie di sopravvivenza per resistere all'azione dei farmaci che sovente finiscono per risultare appunto inefficaci.
Come affrontare il problema
Sono due le strade per risolvere la questione. La prima è nelle mani dei medici e degli odontoiatri che dovrebbero prescrivere gli antibiotici solo dove necessario, nei modi e nei tempi corretti, cioè quelli suggeriti dalla farmacologia, senza mai cedere alle lusinghe dei pazienti che spesso invocano l'uso dell'antibiotico come soluzione ad ogni male.
La seconda via, invece, è quella che dovrebbero percorrere i pazienti stessi, affidandosi scrupolosamente soltanto alle indicazioni del medico e dell'odontoiatra, senza "aggiustare" i tempi della cura, come capita quando si assume il farmaco anche solo un giorno in più rispetto a quanto prescritto.
In entrambi i casi, la speranza è che col tempo, grazie ad un uso più moderato di questi medicinali, l'antibiotico-resistenza possa ridursi, restituendo agli antibiotici il ruolo che dovrebbero avere.
La terza via contro l'antibiotico-resistenza
A dire il vero, c'è anche un'altra strada per raggirare l'antibiotico-resistenza di certi batteri. È il cosiddetto uso "off label" dei farmaci, cioè l'impiego che va al di là delle indicazioni d'uso presenti nel foglietto illustrativo e di cui il medico o l'odontoiatra se ne assume la responsabilità. In pratica, il medico può prescrivere al paziente un farmaco studiato e commercializzato per una certa patologia, per gli effetti noti che può avere invece su un'altra malattia, quella in questione.
È il caso per esempio del metronidazolo che, combinato con l'amoxicillina, risulta molto efficace nella cura delle parodontiti gravi. Attualmente questo principio attivo è usato "off label", tuttavia la SIdP, la Società italiana di parodontologia ed implantologia, per evitare possibili incertezze da parte di medici e pazienti, si sta attivando per chiedere all'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) di inserire tra le indicazioni d'uso di questo medicinale, il metronidazolo appunto, anche il trattamento delle infezioni parodontali.